News di progetto

Nuove narrazioni, buone pratiche di cooperazione e inclusione

Tamat ha partecipato alla II ed. dell'evento COME L'ACQUA E LA FARINA - Laboratorio di mantecanza sociale Tavola rotonda all'interno di Come l'Acqua e la Farina Il 13 e il 15 settembre Tamat ha…

cooperazione

  • AwArtMali: al meeting di Bruxelles inizia il progetto di Tamat

    Dopo una fase di studio, si metteranno in campo le azioni di informazione attraverso le testimonianze della diaspora maliana in Europa

  • Burkina Faso, con Tamat a Ouagadougou, tra paure e opportunità


    burkinaCooperanti alla 'dire' dopo incursioni islamiste e blitz esercitoROMA
    – “Magari da qui a tre mesi sara’ diverso, ma per ora sono tranquilla, uso le giuste precauzioni e con i burkinabe’ si lavora molto bene”. Denisa Raluca Savulescu, classe 1988, romena di origine e marchigiana di adozione, parla con l’agenzia ‘Dire’ dall’ufficio dell’ong Tamat a Zogona, il distretto di Ouagadougou dove vive e lavora, come molti degli europei residenti nella citta’. Spunto dell’intervista sono il recente attacco jihadista a Kain, nel nord, dove tra domenica e lunedi’ sono stati uccisi 14 civili e la notizia, diffusa dall’esercito, della successiva “neutralizzazione” di 146 terroristi.

    Denisa, anzitutto, chiede di non lanciare allarmi: “Il Paese ha bisogno di investimenti, la popolazione e il mercato locale stanno crescendo. I burkinabe’, soprattutto le donne, sono lavoratori seri e responsabili; ma penalizzati, oltre che dalla posizione del Paese, dalle recenti notizie di cronaca”. Quello di Kain e’ solo l’ultimo di una serie di episodi di violenza che con sempre maggiore frequenza si verificano nel Paese che fu di Thomas Sankara: tra i tanti, ha fatto notizia in Italia quello del sequestro dell’architetto Luca Tacchetto e della sua compagna canadese Edith Blais. Le mappe sulla sicurezza nel Paese, diffuse periodicamente dal ministero degli Esteri francese, mostrano una zona “rossa”, cioe’ ad alto rischio, in progressiva espansione da due anni. “Per il mio progetto Rasad, Reti d’acquisto per la sicurezza alimentare con il supporto della diaspora burkinabe’ d’Italia, mi sono spesso spostata nella regione del centro-est, da cui vengono la maggioranza degli immigrati del Burkina Faso in Italia” dice Denisa. “Ora quell’area e’ impraticabile, anche se solo in una sua provincia, la piu’ orientale, vige lo stato di emergenza.

    In dieci villaggi della regione gli islamisti hanno attacato le scuole, imponendo di fare lezione in arabo. E da quando sono tornata a Ouagadougou, all’inizio di quest’anno non sono piu’ andata a mangiare in centro”. Ad avviare il progetto Rasad, ora diretto da Denisa, e’ stato l’agronomo e co-fondatore di Tamat, Piero Sunzini, che da circa un trentennio frequenta il Paese, dove ha abitato tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta. “Forniamo acqua e sostegno tecnico ai contadini e consentiamo di impiegare giovani nell’agricoltura biologica grazie a un programma di microcredito” spiega Sunzini, raggiunto telefonicamente dalla ‘Dire’ nel suo ufficio di Perugia, in Italia. “L’economia non decolla, gli agricoltori restano poveri, e l’alto tasso di crescita del Paese si riflette in un beneficio economico solo per pochissimi” sottolinea l’agronomo.

    In questo quadro, i fattori che minano la stabilita’ del Paese sarebbero due: “Da un lato, una forte resistenza al cambiamento da parte degli uomini vicini all’ex presidente Blaise Compaore’ deposto da una rivoluzione popolare nel 2014; da un altro lato, il terrorismo che si sta infiltrando nel Paese dai vicini Mali e Niger. Gli effetti sul mondo della cooperazione sono importanti: Stati Uniti e Canada sono andati via, noi attendiamo l’apertura dell’ambasciata italiana e penso che le condizioni di sicurezza abbiano inciso su un rallentamento dei tempi”.

    Giulia Filpi
    DiRE, Agenzia di stampa nazionale

  • Burkina Faso, convivenza in pericolo per i nuovi attacchi jihadisti

    Arrivano in queste ore notizie luttuose dal Burkina Faso dove un attacco di matrice jihadista ha provocato 14 morti tra persone inermi a Kain (provincia di Yatenga, Regione del Nord al confine col Mali).

  • Come stiamo uccidendo le nostre Ong e smontando il sistema di Cooperazione

    di Maria Ilaria De Bonis* -Le Organizzazioni non governative in Italia sono oramai da tempo sotto attacco e non solo perché Matteo Salvini nutre per loro un odio viscerale. Il mondo del volontariato internazionale è preso di mira senza pietà, affossato e criminalizzato fino alle accuse di connivenza con trafficanti e scafisti che ledono fortemente l’integrità delle persone.

    Ma Salvini si scaglia contro chi è già molto indebolito dal punto di vista economico  e alle prese con una reputazione segnata da anni di diffidenza. Un’ostilità che ha dei precedenti: un filo rosso lega il governo Conte a quello Gentiloni nel gettare un’ombra sulla professionalità dell’intero settore. Il Codice di condotta Minniti per le Ong impegnate nelle operazioni di salvataggio in mare, introduceva già forti dubbi sul loro operato. Ma è anche vero che la marginalità della Cooperazione allo Sviluppo, con un disimpegno di fondi e una carenza di politiche pubbliche adeguate, affonda le radici in tempi più remoti.

    Francesco LorenziniFrancesco Lorenzini, Tamat, in Fouta Ferlo - Senegal

    Una decina d’anni fa si inizia a parlare dell’urgenza di introdurre finanziamenti privati nell’ambito dello Sviluppo: il che facilita un ulteriore disimpegno da parte del nostro Ministero degli Esteri in un ambito già ben lontano dal fulcro della governance. Sono gli anni del governo Berlusconi IV, Franco Frattini è ministro degli Esteri per la seconda volta, ed Elisabetta Belloni direttrice generale del Dipartimento di Cooperazione (Dgcs). «L’aiuto allo sviluppo internazionale di tipo paternalistico-tradizionale ha fatto il suo tempo – diceva Frattini – Serve un nuovo modo di fare sviluppo».

     Belloni esegue e siamo al 2009: «I fondi continuano a essere esigui, tanto che non è prevista alcuna iniziativa che verrà svolta attraverso la collaborazione con le organizzazioni non governative». Con loro si affaccia per la prima volta l’idea di “privatizzare” la Cooperazione allo Sviluppo.

    Milano nel 2012 si parla trionfalmente dell’ingresso di soggetti privati nella Cooperazione, nutrendo la speranza di realizzare delle partnership tra pubblico e privato. Questo approccio prosegue con la stesura della nuova legge di Cooperazione nel 2014, accolta con favore dalle Ong che la giudicano ‘buona’ sulla carta. Fin da subito è chiaro però che manca la volontà del legislatore di scendere più a fondo nei dettagli. La 125 è una cornice senza paletti. Allarga di molto il numero di soggetti abilitati a realizzare iniziative di sviluppo e lotta alla povertà, comprese le aziende private, a patto che siano ‘etiche’ e rispettino i diritti umani. Ma i limiti per i privati sono fin dall’inizio poco stringenti.

    In realtà sotto traccia rimane la sottile speranza di riuscire a veicolare fondi privati per rimpolpare il flusso sempre più scarso di Aiuto pubblico allo sviluppo.

    «La questione non è quanto sono voluminose le risorse pubbliche»,  diceva l’allora direttrice dell’Agenzia italiana di Cooperazione Laura Frigenti, «ma semmai come riescono ad operare in modo catalitico per far convergere flussi finanziari privati a favore dello sviluppo». Una prospettiva fallita o mai avviata, come attestano i report della stessa Cooperazione e come spiega Oxfam in diversi dossier.

    Fallita perché l’incontro tra Ong e aziende, o tra privato e pubblico, è quanto mai difficile e artificioso. Inoltre la nuova Agenzia di Cooperazione appare bloccata tuttora in una impasse ‘politica’, lasciata da oltre un anno senza un direttore. Ne parla con preoccupazione anche Silvia Stilli,  portavoce Aioi, facendo notare che il Consiglio interministeriale per la Cooperazione non si riunisce da oltre un anno.

    Nel frattempo l’Aps, prima leggermente aumentato, quest’anno cala, mentre i fondi privati fanno fatica ad essere veicolati. L’ultimo rapporto Open Polis/Oxfam lo attesta e dice addirittura che c’è stato «un ritorno al passato»: la crescita dell’Aps promessa è stata smentita dalla finanziaria e dunque gli aiuti destinati ai progetti di sviluppo calano per la prima volta in quattro anni.

    Sull’altro versante le cosiddette partnership pubblico-privato non funzionano come dovrebbero, anche perché forse fare affidamento sulla “bontà” del business in Africa, come in Asia o America Latina, è rischioso. Le  indicazioni su come far incontrare Ong e imprese non sono affatto chiare e le aziende che hanno voglia di delocalizzare vanno avanti pressoché da sole.

    «La riforma del 2014 ha tristemente istituzionalizzato la presenza degli attori privati, per farli entrare a pieno titolo nell’agenda dei beni comuni», ci spiega Nicoletta Dentico, consigliera d’amministrazione di Banca Etica. E prosegue: «in Italia, dopo Expo 2015, abbiamo visto progredire il ruolo delle aziende del settore alimentare nell’ambito dello Sviluppo, soprattutto Barilla, tramite la sua Fondazione».

    Nutre dubbi sulla Riforma anche Massimo Pallottino ricercatore di Caritas Italiana che fa notare come gli obiettivi dei privati non coincidano esattamente con quelli del no-profit: «la ‘convergenza implicita di obiettivi’ rischia di mantenere una certa ambiguità – dice -rispetto alla distinzione tra finalità di sviluppo e orientamento all’internazionalizzazione dell’impresa». Chi dice di voler portare ‘sviluppo’ in Africa, in realtà ha a cuore l’Africa o l’allargamento del proprio business? Questo è il punto. Fenomeni come il land grabbing sono proprio la conseguenza di un business che non guarda allo sviluppo delle comunità locali. Oltre a Barilla c’è la Ferrero che realizza progetti di sviluppo in Camerun e Sudafrica. Si dirà: che c’è di male?

    Il problema non sono le aziende, ma è la mancanza di regole del gioco: i privati di per sé non sono il diavolo, ma perseguono, per loro stessa ragione sociale, un altro fine: quello della massimizzazione del profitto.

    Quindi è molto controversa la loro presenza nei processi decisionali. Se nessuno mette chiari paletti,  inevitabilmente sconfinano in territori che sono propri della agenda dei diritti umani, con enormi conflitti di interesse, soprattutto in macro-aree come quelle dell’agricoltura e alimentazione (cibo e terra), della sanità. Questo è un trend che non riguarda solo l’Italia, ma tutto il mondo «i governi in questi anni hanno abdicato in larga misura ai privati le loro competenze in materia di sanità globale, agricoltura, diritti umani e hanno permesso ad altri attori di sostituirsi ad una governance pubblica», dice ancora Nicoletta Dentico.

    Qui da noi sono le grandi multinazionali come l’Eni ad aver approfittato del varco aperto dalla riforma della Cooperazione, non tanto per attingere soldi quanto per introdursi più a fondo in Paesi cruciali per il loro business come Egitto, Mozambico e Iraq. Di fatto la più grande multinazionale italiana del petrolio, del gas e dell’energia è diventata un attore prioritario dello sviluppo nei Paesi africani.

    L’Eni orienta intere politiche di Cooperazione italiana ed è un finanziatore di Ong valide e con una storia di successo alle spalle, come il Cuamm. Il ritorno di immagine e di business per l’azienda è impareggiabile: la multinazionale si apre strade nuove in Paesi borderline come la Nigeria o l’Angola e ottiene concessioni di esplorazione di bacini petroliferi dai governi africani. In cambio concede sì qualcosa: la costruzione di dighe e scuole, progetti per donne e bambini, validissimi modelli di energie pulite. Ma allo stesso tempo Eni è sul banco degli imputati accusata d’aver in passato sborsato tangenti per le quali è ancora sotto inchiesta in Nigeria.

    In tutto questo movimento, che ne è delle Ong? Trattate come un sottoprodotto scaduto della Cooperazione Italiana allo sviluppo, già di per sé svalutata e vilipesa con i tagli all’Aps, oggi boccheggiano e nessuno protesta.

    «La contrapposizione violenta al principio della solidarietà e cooperazione-  denuncia ancora Silvia Stilli parlando delle iniziative salviniane – è un vero e proprio atto di accusa che indebolisce drammaticamente le Ong».

    E prosegue: «Per la prima volta dagli ultimi quattro anni stiamo facendo passi indietro nello stanziamento dei fondi, mentre l’Italia doveva arrivare allo 0,30% del Pil nel 2020, con questa finanziaria si è creato un blocco e una riduzione».

    Ma c’è di più: Oxfam nel suo recente dossier conferma che esiste un aiuto “gonfiato”: ossia viene contabilizzato come aiuto ai Paesi poveri anche quello destinato all’accoglienza dei rifugiati. Si tratta di fondi che non escono dal nostro Paese (il donatore) e che poco hanno a che fare con la lotta alla povertà: è qui che si vede il controsenso logico di un governo che da una parte si rifiuta di accogliere i rifugiati – pur ricevendo dei fondi ad hoc – e dall’altra taglia ulteriormente gli aiuti per i Paesi poveri tramite le Ong. Peraltro senza impedire che le Ong vengano ancora utilizzate, laddove sono indispensabili – per la ricostruzione del tessuto sociale in Siria ad esempio, o nel controllo dei campi di reclusione in Libia – o come testa di ponte della diplomazia italiana in Palestina e l’Afghanistan.

    Inoltre la tendenza è quella di far fronte alle sfide della migrazione chiudendo le frontiere e attingendo alle già scarse risorse pubbliche della cooperazione allo sviluppo. Insomma, la Cooperazione non governativa che lottava contro la povertà è diventata nel corso degli ultimi dieci anni una pedina nelle mani dei nostri governi, e soprattutto dell’attuale ministro degli Interni che le muove a suo piacimento, abusando del proprio ruolo, senza che il ministro degli Esteri si inquieti più di tanto.

    Mentre  pochissimo si dice di quanto i cooperanti siano motivati e disposti a vivere situazioni di disagio, di pericolo, di scarsa gratificazione economica. Sono la nostra meglio gioventù e la stiamo maltrattando senza una ragione.

     

    *tratto da tempi-moderni.net

  • Europa e Africa, migrazioni e cooperazione: evento promosso da Tamat e Fondazione Ismu

    iniziativa milano

    Mercoledì 8 maggio 2019, presso la sede della Commissione europea - Rappresentanza a Milano, si parlerà delle prospettive nelle relazioni tra Europa e Africa analizzando in particolare l'impegno dell'Italia nel continente

    L'evento è promosso da Fondazione ISMU e Tamat Ong

    Nuove relazioni tra Europa e Africa con al centro i temi della migrazione e dello sviluppo. Si terrà a Milano,mercoledì 8 maggio, presso la sede della Commissione europea -Rappresentanza a Milano(Palazzo delle Stelline - Sala Blu - Corso Magenta 59),l'incontro perfare il punto sulle misure di cooperazione dell'Unione Europea in Africa. In particolare,saranno analizzati i progetti italiani di cooperazione in corso nel continente nell'ottica di una nuova strategia di sviluppo. Al centro il tema delle migrazioni dai Paesi africani. L'evento, promosso da Fondazione ISMU (Iniziative e studi sulla multietnicità) e Tamat (Ong impegnata da oltre 20 anni in Africa), sarà un'occasione importante per analizzare quanto fatto fino ad oggi e programmare una nuova strategia d'insieme per i progetti futuri.Presenti al seminario Stefano Manservisi, Direttore generale cooperazione internazionale e sviluppo della Commissione Europea; Silvia Stilli, portavoce associazione delle organizzazioni italiane della cooperazione; Vincenzo Cesareo, segretario generale Fondazione Ismu; Piero Sunzini, direttore generale Tamat Ong; Massimo Gaudina, capo della rappresentanza della Commissione europea a Milano.

  • La cooperazione internazionale marcia sulle gambe delle donne

    Entoure2Beneficiarie della Martinica e di Antsirabe durante la loro partecipazione a diverse sessioni durante la Seconda mobilità in MadagascarTamat sceglie quotidianamente di rendere le donne “non solo beneficiarie ma protagoniste” , lavorare con e per le donne è importante perché le donne sono potenti agenti di cambiamento in grado di migliorare la propria vita e quella delle proprie famiglie e comunità. Livia, Arianna, Tamara, Kental, Shalama, Mercedes, sono solo alcune delle donne che abbiamo incontrato lungo il nostro viaggio.

    Spesso si uniscono in gruppo per sostenersi vicendevolmente. Lavoriamo in modo constante con questi gruppi di donne, in Italia, Albania, Burkina Faso, Madagascar, Mali, Martinica, Suriname, Tunisia, per aiutarle a sviluppare una cultura di crescita e sviluppo equo. Per noi è fondamentale coinvolgere e lavorare con queste donne in una rete virtuosa di soggetti, che possono attraverso l’accesso a risorse e strumenti adeguati, crescere in modo sostenibile. Esperti in finanza etica, progettisti, agronomi, medici, comunicatori sociali, formatori, sono alcune delle figure coinvolte per garantire la sostenibilità dei progetti, che portiamo avanti attraverso la lente della parità di genere.

  • Sovranità alimentare: a Perugia e San Giustino un progetto di cooperazione urbana

    Alleanza tra agricoltori e consumatori a sostegno delle produzioni locali e delle famiglie in difficoltà del quartiere


    Cooperazione allo sviluppo locale, alla socialità di quartieree ai corretti stili di vita. Proseguono a Perugia e San Giustino le attività del progetto “Comunità attive per la sovranità alimentare”, iniziativa promossa da Tamat Ong, organizzazione non governativa specializzata in progetti di cooperazione internazionale e decentrata con sede a Perugia, in collaborazione con residenti e commercianti del centro storico, con l'associazione Fuori di Zucca, la Cooperativa Sangiustinese, il Cinema Teatro Astra e con il sostegno della Regione Umbria. “Comunità attive per la sovranità alimentare”è un progetto che si colloca all’interno di diverse aree di intervento e mira a sviluppare e rafforzare il ruolo della cittadinanza attiva, stimolandola attraverso il coinvolgimento ad iniziative di animazione di quartiere, sostegno diretto al supporto di soggetti svantaggiati residenti in quei quartieri e ai corretti e sani stili di vita.

    fuori di zuccaLe ragazze e i ragazzi dell'Associazione Fuori di Zucca, Perugia

    Da due anni, infatti, Tamat ha attivato nel centro storico di Perugia un gruppo d’acquisto solidale che al suo interno conta oltre 80 soci (famiglie, pensionati, studenti)e da cui recentemente è nata l'associazione “Fuori di Zucca”. E proprio in questo contesto si inserisce l'ampliamento delle finalità con l'attivazione di una dispensa solidale a favore delle famiglie in difficoltà del quartiere.Il progetto non sposa una logica semplicemente assistenzialista, ma prevede una partecipazione attiva dei soggetti destinatari anche nelle attività di gestione degli ordini e della distribuzione dei prodotti. Con il coinvolgimento del quartiere e dell’associazione Fiorivano le Viole, sono state identificati i beneficiari della dispensa a cui settimanalmente verranno distribuiti i prodotti (frutta, verdura, pane, altro) del Gas. Un'iniziativa importante nata per non lasciare nessuno indietro, all'interno di una quartiere ben definito e che piano a piano sta ritrovando una sua vivibilità. E dove residenti e commercianti cooperano per il benessere di tutti, anche di che si trova in difficoltà.

    cinema astra san giustinoIl cinema teatro Astra, San Giustino
    Il progetto riguarda due ambiti territoriali ben definiti: il centro storico di Perugia e il comune di San Giustino
    . L’idea di sviluppare un Gas (gruppo d'acquisto solidale) nel centro storico di Perugia, nasce dalla volontà disupportare l’opera di riqualificazione del quartiere di Via della Viola avviata dall’associazione Fiorivano le Viole e dallasfida stimolante di riuscire logisticamente a portare i prodotti della campagna per le vie del centro. Da qualche mese proprio a San Giustino la Cooperativa Sangiustinese presso i locali del Cinema Tetro Astra ha avviato con il supporto di Tamat e Fuori di Zucca un piccolo Gruppo d’Acquisto ispirandosi al modello realizzato a Perugia.

    Dopo due anni di attività i risultati raggiunti da Fuori di Zucca possono essere ritenuti più che soddisfacenti. Nel 2017, il G.A.S. ha acquistato circa 5.800 euro di prodotti direttamente dai piccoli produttori locali. Nel 2018 la partecipazione è addirittura aumentata portando il gruppo ad acquistare oltre 15.500 euro di prodotti.

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